Dell’amicizia e degli inganni del tempo

Giunti a questo punto potremmo essere vittime di un’impressione, un’idea che pian piano si consolida con i giorni, i mesi, gli anni. Le circostanze della vita, le contingenze occasionali, le pagine chiare e le pagine scure ti portano a fare bilanci, con le migliori o le peggiori intenzioni, giudicate voi. L’impressione è un dubbio che ti assale: l’idea che in fondo il passato non è poi così come effettivamente ce lo ricordiamo. Come fosse il riflesso luminoso di una stella estinta chissà quanti secoli fa. Ma non è così. La verità invece è che la tua vita da ragazzo, chi eri, quello che provavi, è molto più prossima di quanto avresti mai potuto credere. Nessun errore, nessun inganno: sei sempre tu, sei ancora qui.

Certo, sei diverso, sei evoluto (o involuto), ma il cambiamento, più o meno coerente con le premesse, non fa di te qualcosa di sostanzialmente diverso da ciò che eri. Perché puoi ingannare chiunque: amici, parenti, gente con cui lavori gomito a gomito tutti i giorni, persone appena conosciute. Puoi ingannare anche te stesso. Ma non puoi ingannare chi ti ha visto fare ginnastica in palestra in una tuta acetata o arrampicati sugli specchi durante l’interrogazione di greco. Per quanto possa sembrare strano, illogico, persino ingiusto, difficilmente troverai persone che ti conoscono meglio.

E allora arrivi a capire una grande verità. Invecchiare non significa un bel niente. Puoi cambiare i connotati, puoi diminuire i capelli, puoi ingrassare o riempirti di rughe, ma alla fine dei conti, quel che sei veramente rimane inalterato. I desideri, le paure, le piccole o grandi ansie della vita. Ed è proprio con loro che te ne accorgi. Su di loro e su te stesso.

E quando te ne accorgi non puoi non volergli un bene dell’anima. Anche se le vedi poco o mai, anche se apparentemente sono diventati dei quasi sconosciuti. Persino se puoi arrivare a pensare che se le incontrassi oggi mai e poi mai ci diventeresti amico. Non importa. Loro sanno chi sei, ti conoscono per quello che sei nel tuo intimo, in ragione di esperienze irripetibili. Per aver condiviso con te il foglio bianco della tua vita, quando tutto era ancora possibile, prima che tu compissi le scelte che poi ti hanno portato ad essere quelle che sei oggi.

Per essere felici, come per amare incondizionatamente, ci vuole carattere, ci vuole voglia, costanza. Forse però dobbiamo renderci conto che la felicità, come l’amore, non si trova in ciò che abbia ottenuto, ma in quello che siamo riusciti a mantenere, in ciò che non abbiamo perduto.

Amico è bello, Amico è tutto, è l’eternità! E’ quello che non passa, mentre tutto va! Amico! Amico! Amico!
Il più fico amico, è chi resisterà! Chi resisterà! Chi di noi, chi di noi resisterà!!!

Il disagio si aggira per i social

Siamo nell’epoca dei social. Chissà se Marx intendeva questo quando preconizzava il trionfo del socialismo, ma temo di no. Siamo avviluppati dai social, ma non per questo abbiamo aumentato il nostro livello di socializzazione. Facebook, Instagram, Linkedin, Twitter (che non si chiama più così, ma è stato ribattezzato X) e tanti altri che si fa fatica a stargli dietro. In fondo lo stesso WordPress e quindi anche i nostri Blog possono rientrare in questa grande famiglia. Sono rimasti in pochi a non avere nemmeno un profilo: niente di nuovo sotto il sole, in fondo già tremila anni fa, gli antichi egizi si facevano ritrarre nelle piramidi solo di profilo!

Piattaforme che nascono, crescono, si diversificano, alcune muoiono, magari per risorgere sotto altre spoglie. Alcuna intercettano determinate fasce d’età: Facebook è ormai superato, i ragazzi gli preferiscono di gran lunga Instagram. Quest’ultimo, più immagini che testo, è quello più in voga, ma già ha figliato una nuova propaggine digitale, Threads. Ed è qui che volevo arrivare.

Avendo un account Instagram, in modo quasi automatico (o almeno, io non ho capito come ho fatto) mi si è creato anche un profilo su questo nuova piattaforma, che a differenza di altre è “aperta”. Similmente al vecchio Twitter puoi scegliere se seguire qualcuno, ma in ogni caso tutti possono leggere tutto. FB è come il bar del Paese, con il vantaggio che sei tu a scegliere chi incontrare. Threads è come salire sulla metropolitana e cominciare ad ascoltare quello che dice la gente. E debbo dire, non è per niente divertente. Non che su FB si trovino chissà quali perle di saggezza, ma se non altro hai la possibilità di rimanere in contatto con persone che non vedi abitualmente, ma con cui c’è stato un qualche legame, amici che vivono lontano o che appartengono a luoghi del tempo ormai lontani.

Su questi social aperti si leggono banalità disarmanti, fatti privati di nessun interesse, provocazioni gratuite, insomma tanto disagio. Disagio giovanile, ma non solo e francamente non so se l’età sia un’attenuante o un’aggravante. Sotto quasi tutti i post che leggo mi verrebbe da scrivere, “e allora?” Oppure, “cosa ti spinge a raccontarci questa cosa?” O ancora meglio, “perché piuttosto non esci e provi a farti degli amici?” Quando eravamo adolescenti esternare il disagio al massimo, poteva essere vestirsi di nero e ascoltare i Cure.

Sul serio questo è il mondo che ci circonda? E poi ci stupiamo di chi è stato eletto al governo? Lasciamo stare, i miei figli direbbero che sono domande da boomer. Anzi, me lo dico da solo e quindi taccio. O meglio ancora, mi sa che cancello il profilo Threads, prima che mi venga la depressione per il disagio altrui. Allora molto meglio riascoltare i Cure.

Liberazione

Non sei mica fascista?” – mi disse. Era seria e rideva. Le presi la mano e sbuffai. “Lo siamo tutti, care Cate, – dissi piano. – Se non lo fossimo, dovremmo rivoltarci, tirare bombe, rischiare la pelle. Chi lascia fare e s’accontenta è già un fascista“. (Cesare Pavese, “La casa in collina”).

Il 19 aprile e le storie d’amore

E’ tornato anche il 19 aprile. L’inizio della fine della storia. E allora mi sono chiesto: ma dove vanno a finire le storie d’amore? Ogni storia ha un inizio ed una fine, quelle che durano una vita e quelle solo di una notte, quelle vissute sulla pelle e quelle solo raccontate nei libri. Sarebbe bello avere un album dove raccoglierle tutte, per poterle sfogliare come fossero fotografie o quadri di una galleria. Perché piccole o grandi che siano, le storie d’amore sono come pezzi di un puzzle che vanno a comporre un insieme, l’insieme delle cose più importanti, quelle che davvero fanno la differenza. Piccole o grandi nessuna di esse andrebbe dimenticata, non importa come o quando siano terminate, ci sono state, hanno acceso una luce che ha brillato, che ha scaldato, che ha dato senso.

E quindi, inevitabilmente, in questo 19 aprile, mi torna in mente la vostra storia, quella di Maria e Pietro, la storia di due ragazzi degli anni 50, dell’Italia del boom (loro sì boomer, altroché noi!), della 600, di Lascia o Raddoppia, delle minigonne e delle canzoni di Mina. Il giorno delle nozze Maria non voleva l’abito lungo perché a 32 anni si sentiva vecchia e Pietro di anni ne aveva 37, pensava di non sposarsi più. La loro storia è stato un frutto maturo, per questo forse ha dato così tanti frutti. Una storia piena, fatta di alti e bassi come tutte le storie, ma ancora oggi luminosa. La loro storia è come un film di cui conosco a memoria i passaggi e le battute, ma che ogni volta adoro rivedere.

Nelle storie d’amore certo sono importanti i momenti forti, l’eccitazione dell’inizio, quando tutto è nuovo, quando tutto ti sorprende perché tutto è ancora da scrivere. Oppure il finale, dolce e struggete a volte triste. Ma in realtà tra la fine e l’inizio, tra la partenza e il traguardo c’è tutto il resto. E tutto il resto è il giorno dopo giorno, il costruire silenziosamente, sapendo rinunciare alla perfezione, come mi ha ricordato una mia saggia amica qualche tempo fa. Ed è quello che fa la differenza.

Tu, amor mio, chi ti ha amato in questo mondo, solo io. Io invece io, sono stata troppo amata. Ma noi due, amor mio, che siamo poco insieme, siamo un pò di più. Tu, tu sei tu, più qualcosa che ti arriva da lassù. Amor mio, per amico c’è rimasto solo Dio. Ma Lui lo sa e sorride, Lui ci guarda e sorride. Amor mio
basto io, grandi braccia grandi mani avrò per te, stretto al mio seno freddo non avrai, no tu non tremerai, non tremerai. Amor mio, basto io, no tu non tremerai al riparo del mio amore.

Una pietra nel cuore

La morte dell’innocente è uno scandalo. Non ci sono discussioni, non ci sono spiegazioni, non ci sono consolazioni. La morte dell’innocente è un cazzotto in piena faccia. E la fede nella resurrezione aiuta a raggiungere risposte, solo nel momento in cui sei disposto ad esasperare le domande. Senza sconti, senza scorciatoie, senza frasi consolatorie. Una bara bianca ci lascia così. Confusi, stanchi, incapaci di essere d’aiuto, impotenti ed arrabbiati. E non può non essere così. Con l’amaro in bocca che non va via.

Come già scrivevo altrove su questo blog, il Principale lassù ce ne dovrà di risposte. Ah, se ce ne dovrà! San Paolo scrive che non saranno la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada a separarci da Lui. Voglio crederci, ma certo ci faranno molto male, ci feriranno nel profondo, ci toccheranno fino alle ossa e niente e nessuno potrà darci conforto. Del resto anche Lui sul Golgota ha vissuto la croce sentendosi abbandonato. Questo forse può non bastare come risposta, ma almeno possiamo dire di aver condiviso la domanda.

E dopo il Golgota il giorno dopo rimaniamo anche noi con una pietra nel cuore, una pietra troppo grande, che da soli non riusciremo mai a spostare. Le donne si incamminano, chiedendosi chi le aiuterà, non sanno come fare, ma vanno lo stesso, sperando l’insperabile. E forse è proprio questo quello che siamo chiamati a fare. Mettersi in cammino, sperando di avere qualcuno che voglia condividere con noi questo percorso. Con tante domande, nessuna risposta e un’illogica speranza che qualcuno rotolerà quella pietra per noi.

Per ogni notte buia che, il cuore oscurerà, poi ci sarà un’alba nuova in più…Amici miei, venite qui, cantate insieme a me. Qualcuno c’è, che sta lassù e non ci lascerà mai soli.

Peccati di armocromia

Non avrei voluto tornare sugli eventi calcistici recenti, anche perché perdere un derby non fa mai piacere. Qui nella capitale i risultati sportivi scarseggiano e quindi il dominio cittadino resta spesso l’unica soddisfazione che le nostre due squadre riescono a darci. Di conseguenza il peso di una sconfitta o di una vittoria è esageratamente maggiore rispetto ad altre città, dove al contrario i traguardi sono più alti e gli obiettivi più elevati.

Non a caso dico esageratamente perché poi insieme al sano sfottò, ormai da anni, attorno ai derby si concentrano tutte le peggiori situazioni legate al calcio: episodi di razzismo, ma soprattutto di violenza che sono incomprensibili ed ingiustificabili sotto tutti i punti di vista. Quale romanista non ha un amico laziale e viceversa? Nulla può giustificare la violenza, figuriamoci per una gara di calcio. Calcio che, se ti fermi per un attimo a pensare razionalmente allo sproposito di soldi che fa girare, ai privilegi che garantisce, alle sperequazioni su cui si basa, al Sistema (nella peggiore accezione del termine) che lo muove, bisognerebbe chiedersi come faccia a muovere ancora l’interesse di tanta gente.

Ma proprio la rivalità cittadina è una delle poche cose che continua a farmi appassionare a questo sport, che ormai tutto è tranne sport. Il gusto di confrontarsi con l’amico di sempre, gli scherzi e le prese in giro, restano davvero fra le poche che danno senso ad una cosa che in realtà non ce l’ha. E quindi veniamo a quello che è successo sabato dopo la partita.

L’autore del goal della Roma, onesto gregario che diventa eroe per un giorno, festeggia a fine partita sventolando una bandiera datagli dai suoi tifosi, sotto la curva festante. Una bandiera con i colori dei rivali e l’effige di un topo. Sventola, sventola, qualcuno gli avrà detto che forse non era proprio la cosa più elegante da fare e quindi nella successiva intervista, meglio di uno Scajola qualsiasi, si è subito prodigato a dire che lui non sapeva, non voleva, nessuna offesa, me l’hanno data i tifosi, non avevo visto cos’era.

Ripeto, lo sfottò è il condimento essenziale dei derby. Ci sta tutto: l’ironia, la presa in giro, persino le offese (magari eviterei di tirare in ballo i morti, ma poi ognuno si regoli come vuole). E’ lo stesso discorso della satira: il politicamente corretto riserviamolo alle cose serie. Facciamoci una risata sopra, oggi sei incudine, domani sarai martello. Quindi va bene la bandiera o quello che ti pare. Avrei evitato le scuse, perché non dovute, non volute, non apprezzate e autentiche come una moneta da tre euro.

In quella rivalità di cui sopra ognuno concentra nella squadra avversaria tutto ciò che ritiene negativo, tutto quello che non gli piace: voi coatti, voi burini, noi nati prima, noi unici veri romani, e potrei continuare per ore. La semplificazione del noi e voi, dei buoni e cattivi è automatica in una realtà con due facce contrapposte ed insieme inseparabili come questa. Poi, ripeto, fra i miei migliori amici, fin da bambino, ci sono romanisti e a parte vedere il derby insieme, non rinuncerei mai a stare insieme una serata con loro.

Però se nella credenza vedo due bicchieri giallo e rosso vicini (tipo quelli di plastica di Ikea), io li devo separare. O quando ci sono i panni stesi, se ci sono due mollette o qualsiasi altra cosa che metta insieme quei due colori, via via per carità. E’ una questione estetica, che tracima nell’etica: quell’accostamento per me è raccapricciante, come il gesso sulla lavagna, il sale nel caffè, una scoreggia in ascensore. Quindi quello che mi domando è come vi viene di sventolare una bandiera con i colori di “quegli altri”? Non vi fanno male gli occhi? Non avete un senso di repulsione, di fastidio a livello fisico? O forse, sotto sotto, anche se non lo ammettereste mai, riconoscete che i nostri colori, i colori del cielo e del mare, sono i più belli che esistano?

Ma Gesù che cristiano sarebbe?

Sarà questo tempo di Pasqua, sarà l’ennesimo Jesus Christ Supestar, o forse uno degli ultimi post della mia amica Vitty, mi è venuto questo dubbio: se Gesù tornasse oggi sulla terra, che cristiano sarebbe? Penso difficilmente sarebbe un ortodosso come Putin o un evangelico come Trump. Ma neanche un cattolico come lo era Berlusconi! Certo lui era ebreo, ma non penso come Netanyahu. Il dubbio resta, anzi, cresce: siamo sicuri che tornasse oggi sarebbe cristiano?

Non voglio disquisire qui sulla genuinità della fede dei personaggi che ho nominato. La fede di Putin, di Trump o del compianto Silvio sono affari loro. Il dubbio che mi è venuto è più radicale. Come molto radicale era il messaggio di Gesù che i Vangeli ci raccontano. Gesù che frequentava gente di dubbio affare, che non rispettava i precetti: Gesù che affidava totalmente la sua vita al Padre, che diceva di vivere come gli uccelli del cielo e i gigli nei campi, senza preoccuparsi del domani, che non temeva la morte, che non reagiva ad offese o insulti.

Altro che Putin e compagni bella. Chi oggi (io per primo) che si professa cristiano, vive davvero così? Chi è che riesce a vivere senza preoccupazioni? Senza aver paura del domani, in questa vita e dopo di essa? E non parliamo del non reagire ad insulti o offese. Chi riesce a vivere affidandosi in modo assoluto e totale al Padre? Perché quella è la questione di fondo. Dal suo annuncio abbiamo creato una religione, con norme precetti, regole. Abbiamo creato più di una religione, a dire il vero, ma chi riesce a seguirlo veramente nella sua fede?

D’altra parte un dubbio era venuto per primo anche a lui: “Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra? (Lc 18,8)

Le spinte gentili e l’importanza di fare centro

In mezzo al traffico del lunedì mattina, ascoltavo per radio l’importanza dei cosiddetti “Nudge”, che potremmo tradurre in italiano come “spinte gentili”. Interventi che tendono a cambiare il comportamento delle persone per migliorare il loro benessere o il benessere sociale senza alterare le loro opzioni di scelta. I nudge nascono dalla constatazione che, sebbene razionalmente dovremmo scegliere l’opzione preferita tra quelle disponibili, in realtà le nostre decisioni sono spesso frutto di pulsioni emotive e altri fattori che ci allontanano dalla scelta migliore.

Perdere peso, smettere di fumare, fare sport o utilizzare i mezzi pubblici. Tutti buoni propositi che si scontrano poi con la realtà delle nostre pigrizie o cattive abitudini. Purtroppo o per fortuna siamo esseri sociali, influenzabili nel bene come nel male. i Nudge sono spinte positive che i decisori possono mettere in campo per aiutarci a fare e farci del bene. Sfruttando ad esempio la nostra stessa pigrizia, il tendere a non cambiare le situazioni di fatto. Oltre l’80% delle persone si dichiara favorevole alla donazione di organi: ma quando viene chiesto di effettuare la scelta per diventare donatori la percentuale precipita. In alcuni Paesi la “spinta gentile” è stata fatta invertendo il corso delle cose, per cui bisogna scegliere esplicitamente di non essere donatori.

Ma ci sono molti esempi di questo tipo di influenze. Ad esempio sfruttando l’emulazione con gli altri, inserendo premi in base ai risultati, ma anche l’innato spirito di competizione. In quest’ambito raccontavano un classico esempio di spinta gentile messo in campo nell’areoporto di Amsterdam. I responsabili hanno fatto applicare delle decalcomanie negli orinatoi maschili con l’immagine di una mosca. La pulizia dei bagni è aumentata di oltre l’80% perché noi maschietti abbiamo in automatico la tendenza a “prendere la mira”.

Però mi chiedo, possibile che serva un bersaglio? Non ci arriviamo da soli che bisognerebbe fare la pipì dentro? Ma in generale, la vera domanda è, possibile che siamo così stupidi? O peggio, possibile che basta così poco per manipolarci? In ogni caso, se avete in casa la stessa difficoltà, niente paura. Su Amazon con 6,95 almeno per un po’ risolvete il problema!

Compagna luna

Agli inizi di marzo è morta Barbara Balzerani, leader storica della colonna romana delle Brigate Rosse, coinvolta nel rapimento Moro e in altri fatti di sangue di quel periodo, fu una delle ultime ad essere catturata. Figura controversa, come molti brigatisti, pur non essendosi mai pentita, né dissociata dal terrorismo, dichiarò conclusa quell’epoca e prese le distanze dai fatti di sangue successivi compiuti dalle cosiddette nuove Brigate Rosse. Scontata la pena aveva cominciato un’intensa attività di scrittrice, con 8 libri al suo attivo.

Ho vissuto quel periodo nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, ricordo bene l’aria avvelenata che si respirava, le tensioni, gli scontri, forse per quello sono sempre stato molto interessato a quelle vicende, sia per i tanti lati oscuri che ancora ci sono, sia perché fanno parte della nostra storia e nel bene o nel male ne hanno determinato l’evoluzione che ci ha portato alla situazione attuale.

Così mi è venuta voglia di leggere il suo libro più famoso, Compagna Luna, una sorta di autobiografia nella quale racconta la sua storia, soffermandosi proprio sulle scelte più importanti e più tragiche di quegli anni. Una lettura non facile, scritta a volte in terza persona, a volte in prima, a volte con un linguaggio poetico, spesso, ahimè, con quella oscura verbosità tipica di quegli anni e di quegli ambienti: mi sembrava quasi di essere tornato fra le aule di villa Mirafiori, in qualcuna di quelle innumerevoli assemblee dei gruppi Troskisti che ancora nei tardi anni 80 erano presenti nella mia facoltà di Filosofia (la stessa in cui si laureò la Balzerani).

Un libro che purtroppo non aggiunge e non chiarisce nulla di quel periodo. Da una parte sottolinea le ingiustizie sociali, la povertà, le disparità economiche, dall’altra l’aspirazione ad un mondo migliore, l’idea di portare avanti una guerra di liberazione contro lo Stato, con la pretesa di proseguire in qualche modo la lotta portata avanti dalla Resistenza. Da qui la “necessità” di prendere le armi, l’inevitabilità di uccidere i nemici. Tra le righe si legge l’amarezza della sconfitta ed il rammarico per le vite spezzate. Anche nei confronti di Moro, emerge un qualche rimpianto, ma la sua tragica fine nella sua ricostruzione sembra quasi un fatto ineluttabile, una cosa già scritta dagli eventi, soprattutto dal non voler trattare da parte dello Stato. E in ogni caso non c’è traccia di dubbio: furono sconfitti, ma quella guerra era giusta e andava fatta. Ma perché?

Una volta di più, rimanendo ai ricordi universitari, devo dare ragione al mio professore di Filosofia del linguaggio, il compianto Tullio De Mauro: il linguaggio influenza il pensiero, lo determina. Se non riusciamo ad esprimere è perché non abbiamo le idee chiare. E la Compagna Luna, così come molti dei brigatisti di cui mi è capitato di leggere, non ce le aveva le idee chiare o comunque non è stata capace di esprimerle. Ed è un peccato, uno spreco, un’occasione mancata. Perché quell’entusiasmo, quella rabbia verso le ingiustizie, quella voglia di cambiare il mondo, la mia generazione non ce l’ha mai avuta così forte, così trascinante. Anzi, probabilmente proprio la deriva autodistruttiva e gli esiti catastrofici di quelle aspirazioni, hanno portato al disincanto e al disimpegno delle generazioni successive.

Se quell’entusiasmo fosse stato indirizzato diversamente, se si fosse incanalato per sentieri più chiari, per obiettivi più raggiungibili chissà come sarebbe andata la storia. Mi resta la sensazione che qualcuno fece di tutto invece perché le cose andassero esattamente così come sono andate. Così come mi rimane la convinzione che per quanto alti possano essere gli obiettivi, per quanto importanti le finalità, ci sono buone ragioni per dare la propria vita per raggiungerli, molte meno per toglierla a qualcun altro.

Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato dal fumo delle barricate? Compagno di scuola, compagno per niente, ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?

Metasemantica Sarriana

E così anche il Comandante Sarri ha dovuto archipattarsi alla situazione. Proprio lui che affistellava gli altri con un eloquio sdareddo, che non lasciava mai sostiri o malgiurisdi, si è dovuto mastrappare venendo meno ai grandi sogni. I giocatori da parte loro si sono subito affistellati a sdolgiornare la loro posizione, forse scantesi che un domani qualcuno potesse asdordinare proprio a loro l’accaduto. E in parte è così. Così come in parte la responsabilità è pure nell’ostigaria che Sarri ha sempre messo nelle scelte. Ma lui è malverscio, si sapeva, pensare di ordinizzarlo era pura pancrasia!

In ogni caso sappiamo tutti chi è il vero e quasi unico distorgabile di quanto successo: l’immanordabile Lotito, che passa pure per concleso, come se non fosse contento di risparmiare un po di sderenghi e ricominciare con qualche altro maltorvisato. Ora si parla di Tudor. Certo, visto mai si scegliesse un caripante col DNA laziale!

Noi comunque lo accoglieremo con la solita sdarenga bentornista e l’entropismo che non ci manca, perché in fin dei conti, hai voglia a dire che è solo un torgio e che le cose sdruse sono altre, ma cos’è che ci fa sdremare il cuore, cos’è che allonia o sdirupa le nostre giornate, se non le sorti della nostra beneamata? E quindi, che sarà sarà, in alto i cuori fratelli biancocelesti, che prima o poi l’astragante ci sorriderà.